venerdì 30 marzo 2012

la tuta del Pepe, vermell i negra...




28 marzo 2012, ore 18: il Quim mi aspetta davanti a San Siro nel parcheggio riservato ai tifosi blaugrana, ci siamo conosciuti un anno fa a Sant Joan de Vilamajor, ameno villaggio di collina a mezz’ora da Barcellona. Ero lì per partecipare al Granollers Jazz Festival, e il mio pard catalano Joan Sanmarti, fine chitarrista e arrangiatore del concerto che abbiamo tenuto insieme, mi portava ogni mattina nel suo bar, prima di andare alle prove.
Colazione e futbol, le curiosità saporite delle nostre fedi calcistiche, una consuetudine appena accennata che apriva la giornata col sorriso. Quello di Quim stringe ad ogni passo, contagioso e rauco. A Milano si è portato suo figlio, suo fratello e alcuni amici. Scambio di gagliardetti: quello blaugrana è una birra gelata dal frigo-camper, e una spilla con lo stemma del club catalano. Quello rossonero è una copia di Fedeli a San Siro con dedica, e due bottiglie di “tinto”. Amb l’amistad, uniti contro il profeta di Setubal, che a loro sta sulle balle tam quam. Bene.
Si entra nel tempio, terzo anello riservato alle tifoserie ospiti, con tanto di rete protettiva per impedire il lancio di oggetti. Pare che sia successo un paio di volte, qualche anno fa, così l’uefa ha imposto l’ennesimo muro per limitare i danni del becero che avanza. Poco male, la festa per el partidon è un’altra storia, cuor contento ciel l’aiuta.
Gli amici catalani non si aspettavano uno stadio così bello; San Siro, nonostante la somma di anelli e coperture, resta un posto molto buono per vedere il calcio. Ci fosse anche un terreno all’altezza sarebbe perfetto, ma tant’è. Quando ero un ragazzo c’era “la porta del freddo”, con l’area che ghiacciava, adesso ci sono alcune zone di campo dove le zolle crollano, manco fosse la tana suprema di un esercito di talpe. Mica si può andare avanti così, partite del genere meritano un bigliardo, ma senza le buche.
Il Milan parte bene e potrebbe segnare dopo 2’, se non fosse che Robinho si divora la palla-gol che qualsiasi giocatore sognerebbe di avere tra i piedi. Era solo da appoggiare in rete, aveva perfino il tempo per stoppare e mirare con calma, invece sparacchia una specie di rinvio, manco fosse Puyol, che ringrazia. Poco dopo Ibra, imbeccato da una preziosità del Clarence (il migliore in campo per un’ora, prima di alzare bandiera bianca per raggiunti limiti di fiato), se ne divora un’altra.
Se ai fenomeni regali due bonus del genere non hai molta speranza di uscire vivo. Il Barça cresce, comincia a dipanare il suo mantra, crea un paio di palle-gol, vedo la panna che comincia a montare.
Ci sarebbe anche un rigore su Sanchez, non limpidissimo ma che si poteva dare. Il Milan soffre e cerca di ripartire, però gioca in dieci, Robinho passeggia amabilmente per il campo e non tiene una palla che è una. E’ una partita di attenzione tattica esasperata, non ultraspettacolare come si attendeva, ma godibilissima e ben giocata da entrambe le squadre. Il gol che avrebbe sparigliato e mosso le acque non arriva, il centrocampo del Barça cerca in tutti i modi di ipnotizzare il Milan, che però riesce a tenere alta la concentrazione, nonostante le assenze e i cerotti. Mi pare che quest’anno se c’è una squadra che il Barcellona patisce, questa è il Milan, come già dimostrato.
Nell’intervallo cerco di andare in bagno, ma desisto e resisto. Ci sono tipo 150 persone che fanno la fila, scopro che per tutto quel settore (migliaia di posti) ci sono la bellezza di quattro toilettes. Complimenti vivissimi al direttore. In compenso per tutto l’intervallo parte la musica della Champions a palla, roba da inquinamento acustico punibile con l’arresto, il volume è insopportabile, il rimbombo nel catino è perfino peggio. Impossibile telefonare, molto complicato scambiare due parole col vicino. Per un quarto d’ora San Siro si trasforma in un incubo sonoro, ma l’assuefazione da centro commerciale rende bevibile anche questa sbobba, ormai si ingurgita tutto, anche la sigla della Champions in loop per un quarto d’ora.
Prego che entri il Faraone per Robinho e all’inizio della ripresa c’è il cambio, si gioca undici contro undici, finalmente. Il Milan non cambia partita e non cede un’oncia di attenzione sulle distanze, il Barca cerca di lanciare le sue micidiali esche per attirare negli spazi la retroguardia rossonera e colpire, ma stasera – nonostante nel secondo tempo giochino Mesbah, Bonera, Mexes e Antonini (non esattamente una retroguardia che resterà nella storia del calcio) – la fase difensiva è registrata a dovere, e il Barcellona fa più fatica a farsi vedere dalle parti di Abbiati, comunque decisivo in almeno tre occasioni. Gran partita di Ambrosini (l’avevo battezzato al tramonto definitivo, mea culpa) e di Nocerino.
El Sharawi gioca col piglio del titolare navigato e Allegri – mi dico – deve averlo notato una volta per tutte. Speremm.
Ibra conferma la striscia negativa da big match, evidentemente in queste partite la tensione lo divora; corre e si impegna, ma quasi sempre fa scelte sbagliate e ogni tanto gli sale una specie di intermittenza indolente, si fa pescare in fuorigioco come un esordiente. Và a dà via i ciapp, Ibra, se al Camp Nou vogliamo giocarcela mi devi scendere in campo tutto intero, mica a pezzi. Altrimenti mi tocca sperare che al tuo posto ci sia il Maxi, la nostra “galina de oro”, uno di quei centravanti che con i suoi movimenti dà senso alla manovra d’attacco. Una cosa che mi rimanda a Crespo, o a Cruz. Tutti argentini, sarà un caso.
Forse il Milan avrebbe potuto osare di più, ma per farlo contro la squadra più forte del mondo avrebbe dovuto ricevere coraggio da un attacco meno svagato. Risultato giusto, qualificazione aperta. Il 25% che davo al Milan prima di questa partita resta intatto, in tre partite al Barcellona abbiamo segnato quattro gol. Martedì prossimo, se il Milan riuscirà a ripetere lo stesso match in fase difensiva, potrebbe bastarne uno.
Andiamo a casa, che la partita è finita ? No. Dopo avere salutato il Quim, un nome che mi suona vagamente salgariano ma che è una variante di Joaquim, mi tocca aspettare quasi un’ora prima di uscire dallo stadio, scortato dalla polizia insieme a qualche migliaio di tifosi del Barcellona. L’unico quarto di finale ad essere ancora in bilico è questo, e per me – da cuore rossonero, anzi, vermell i negre – è una bella soddisfazione.
Raggiungo trafelato il parcheggio con la testa nel frigo di casa, fame da avanzi della cena, da dopopartita. Un signore anziano mi fa toc-toc sul finestrino: mi scusi, non è che può darmi uno strappo in Piazzale Lotto ? Prego.
Grazie, che Dio la benedica.
Via, per così poco?
Ma si vede che è stanco, gli risparmio un chilometro che vale doppio. Prima che scenda gli dico “che bella questa tuta del Milan”.
“Bravo lei che l’ha notata, ma lo sa di chi era questa tuta ? Era di Schiaffino, del grande Pepe.”
Buonanotte, vell cor fort vermell i negre. C.S.


dal blog "quasirete" della Gazzetta dello Sport - link:
http://quasirete.gazzetta.it/2012/03/30/la-tuta-del-pepe-vermell-i-negra/

giovedì 29 marzo 2012


Saranno passati sei anni (facile, sui libri ci scrivo data e luogo d’acquisto): avevo un appuntamento a Roma ed ero in anticipo, il tempo di entrare in una piccola libreria di Parioli e notare una copertina col guantone da boxe, il destro che si schianta sul muso contratto del pugile. Sono un fan del racconto, combatto una piccola guerra individuale contro la vulgata che – soprattutto in Italia, nazione di poeti assai più che di romanzieri – relega questa nobile forma d’arte letteraria a una specie di jattura perché – si dice - “la gente” vuole leggere romanzi.  Io non so cosa vuole leggere la gente, quello che invece so bene è che un certo numero di libri che mi porto nel cuore sono riconducibili alla forma del racconto.   Come nel caso di Ho dato l’anima. Storie di uomini e di sport di Giorgio Terruzzi, che da quel tardo pomeriggio romano ha conquistato il primo ripiano in basso della libreria che ho accanto al letto, nel posto che chiamo “l’ormeggio”. Lì ci vanno a finire quei libri che ogni tanto mi fa bene rileggere, una specie di porto sicuro che torna buono nelle notti complicate, quando il sonno stenta e la lettura del libro in corso pure. Nell’”ormeggio” non hanno residenza solo capolavori riconosciuti, la selezione è un affare di gusto ragionato in immediatezza. Anzi, a guardar bene, di anima. Nel titolo di questo libro non poteva starci parola migliore perché il soffio, l’aura, il vento che attraversano queste pagine sono piccoli alisei sulla mia personalissima carta nautica. Giorgio Terruzzi pennella diciotto ritratti d’autore in chiaroscuro, dove i colori sono quelli di chi ha visto bene, nobilitati da una prosa che scavalca il tempo e restituisce il valore dell’istantanea.
Da Schumacher a Valentino Rossi, passando per Senna e Fangio. E poi Walter Chiari e Beppe Viola, Monzon e Rivera, McEnroe e Bonatti, Paolo Conte e Pantani. Fino a Il vento dentro, dedicato a Massimiliano Capuzzoni, il giovane amico rugbista scomparso a soli 26 anni. In ciascuno di questi ritratti c’è l’onestà visionaria per le cose che abbiamo scoperto di amare, e tante parole che fanno volare. C.S.

dal sito di Panorama - link: http://blog.panorama.it/libri/2012/03/20/ho-dato-lanima-storie-di-uomini-e-di-sport-di-giorgio-terruzzi/

Inter: se finisce un ciclo con chi si ricomincia...a pedalare ?


Quando un sogno finisce, in genere il ritorno alla realtà è duro. Ma bisogna pur ammettere che la realtà dell’Inter degli ultimi mesi era da incubo: vissuto ad occhi aperti oppure chiusi, poco cambiava. In totale, però, nella sua parte più bella si è trattato di un misto di sensazioni: sogno-dormiveglia-realtà (concreta) che in tutto sono durate ben sette anni, mica noccioline. E se sette è il numero perfetto nella cabala (e non solo) per identificare l’infinito, qualche ragione per sperare che la ruota ricominci a girare verso l’alto dallo stesso punto basso in cui è piombata c’è, eccome.
Fine di un ciclo, anche se qui si parla di calcio e non di due ruote, quindi: fine di un calcio, quello dell’Inter iniziato con Mancini e in parabola discendente dall’addio di Mourinho riuscendo comunque a vivacchiare un altro paio d’anni (la battutaccia sul ciclo-calcio è dovuta al perdurante stordimento della sveglia che ci ha dato il Marsiglia nella nostra ultima uscita sulla scena europea, quindi me la si faccia passare).Fine di un ciclo e di un calcio, e arrivo al capolinea dove qualcuno deve fatalmente scendere, e per sempre, dal nostro bel torpedone nerazzurro. Alcune delle conseguenti citazioni che sto per fare mi procurano dolori forti al miocardio (e sono sicuro: non solo al mio, di cardio), ma credo che al via della prossima corsa non possa proprio esserci più nessun sedile riservato per Cordoba (ahi!), Stankovich (doppio ahi!), Chivu (fitta meno intensa), Zarate, Forlan, Palombo (per questi ultimi nemmeno un piccolo vibrare, come poco o pochissimo me lo hanno procurato vestendo impropriamente la mia maglia). Se si riesce a piazzare più che bene Sneijder, via anche lui.
Biglietto di viaggio da confermare per Ranocchia (ma perché voglio dare fiducia ai giovani come vedremo anche più avanti, pur se lui me l’ha quasi del tutto fatta perdere), Samuel (le sue ultime inutili scivolate ad impedire gol invece realizzati hanno fatto scricchiolare l’adorazione che gli riservavo), Maicon (che mi sa adesso non vuole quasi più nessuno), Nagatomo (ma era proprio necessario scambiarlo con Santon?).
Dietro si tengono Julio Cesar (che un anno così brutto non potrà comunque ripeterlo, e di meglio in giro molto non c’è) e Lucio che a 34 suonati non ha mercato e può fare da tutore ai centrali del futuro: Ranocchia (se finalmente convince) al quale gli si affianca Caldirola (un campione, predestinato) di ritorno dall’Olanda, che è nostro e là in prestito. In mezzo, non vedo – checché se ne dica - come si possa fare a meno del Capitano almeno per un altro anno (qui il discorso sull’età non fa testo, altrimenti sarebbe già in pensione da un lustro, invece corre ancora quasi sempre come un treno e ragiona come se avesse un radar incorporato), così come di Cambiasso, che lo si voleva assolutamente in panchina e quando è entrato nelle ultime due partite a 15 dalla fine abbiamo segnato quattro gol, due per volta: siamo sicuri che sia davvero finito?
Visto che si parla in maniera ormai franca e presidenziale di rifondazione dando spazio ai giovani, avanti allora con fiducia (e regalando ancora pazienza) a Obi, Poli e Faraoni, addirittura Alvarez e magari anche Krin se non abbiamo fatto la stupidata di cederlo del tutto al Bologna.
Dettaglio contrattuale che mi auguro (ma mi sa proprio che non è così) possa in qualche modo valere anche per Destro, che faceva sfracelli nella Primavera e promette più che bene anche adesso al Siena. Chissà perché quando convincono, spesso i giovani li vendiamo e andiamo a prenderne altri che invece ci lasciano basiti (lo scambio, appunto, Destro-Ranocchia con il Genoa, val bene l’esempio).
In più, da quando Coutinho ha smesso di respirare l’aria di Appiano per andare in Spagna all’Espanyiol pare “tornato” ad essere un altro, cioè un campione, quello che si diceva essere da bambino (acquistato in tempo di svezzamento e da noi portato via dal Brasile) prima di arrivare a giocare con i grandi e deluderci in prima squadra: perché non proviamo a farlo tornare dal prestito e a vedere se adesso gira giusto finalmente anche da noi, magari portandoci qualche bombola d’aria da Barcellona?
Davanti fiducia a Pazzini e anche a Milito: pur sembrando l’argentino la copia talvolta malamente invecchiata di quello che era un Principe assoluto con Mourinho, quando si sveglia (e negli ultimi tempi lo ha fatto, senza nemmeno troppo sbadigliare) c’è sempre, e un po’ di transizione se la può fare con onore, direi.
Ai due, va affiancato almeno un altro, da scegliere bene e contando sulla sua possibile durata nel tempo, quindi un giovane di sicuro avvenire. Tutto questo, naturalmente, se cambia anche chi si occupa di mercato, e questo vuol dire una cosa sola: via Branca e che torni Oriali immantinente.
Aggiungo anche che almeno per un po’ non toccherei l’allenatore, e dico addirittura di più: facciamo un bel contratto blindato (e che lo sia da ambo le parti) a Ranieri, e lasciamolo lavorare (almeno) per tre anni: non diventerà un longevo da panchina nerazzurra come Ferguson lo è per il Manchester (anche se son cose che prima o poi si dovrebbero sperare succedano anche da noi, queste), ma sono convinto che lui non sia solo un aggiustatore in corsa (come in fondo si dice per depotenziarlo), ma anche un buon creatore e assemblatore di squadra, se addirittura riesce ad averla in mano dall’inizio stagione.
Diamogli tempo, invece di ricominciare con l’assurdo tourbillon della panchina (che non fa altro che creare confusione a tutti, dai giocatori ai tifosi) e magari ne vien fuori qualcosa di inaspettato. Si tratterebbe di poter contare su una certezza: programmazione a media e lunga scadenza, e lasciamo la fretta degli ultimi anni all’album dei ricordi da cancellare.
Un sogno? Ma no, ho già detto che mi sono svegliato; malamente, ma l’ho fatto. Sperando che in futuro, fra l’altro, non debba più vivere momenti di sonno agitato come quelli che ho passato nelle due ultime stagioni, e parlo di quelle ciclo-calcistiche, naturalmente. Quella che da subito ci aspetta è una faticaccia tutta in salita (della classifica) da gran premio della montagna (tanto per tornare alla bicicletta) che al momento non ci fa nemmeno quasi intravedere il traguardo della partecipazione all’Uefa League l’anno prossimo.
Già questo basta e avanza per immaginare altri incubi in arrivo, altro che rinascita immediata! 
T.M.
dal sito di Panorama - link: http://blog.panorama.it/libri/2012/03/16/inter-se-finisce-un-ciclo-con-chi-si-ricomincia-a-pedalare/