Per un Milan - Inter degli anni Settanta finito 0 a 0 senza un tiro in porta Beppe Viola, che doveva realizzare il servizio per la Domenica Sportiva, decise di mandare in onda le immagini di un derby del 1963 per rispetto dei settantamila di San Siro, incolpevoli vittime di quello che aveva definito un "derbycidio". Dei tanti episodi che narrano il suo "modo di stare in campo" questo mi sembra il più emblematico. Inventore di battute fulminanti ("il pugile torna all'angolo: come sto andando ? Se lo ammazzi fai pari" oppure "sopporterei 37 e 2 di febbre tutta la vita pur di avere la seconda palla di servizio di Mc Enroe"), gestore dell'Ufficio Facce, luogo incaricato a riconoscere il tifo dalla fisionomica (Lei è del Milan, vero ?), giornalista, sceneggiatore, scrittore di canzoni. Un eclettico naturale col bonus di una capacità di osservazione fuori dal comune e una leggerezza capace di trasmettere conoscenza e calore umano senza prendersi sul serio. Frequentatore assiduo di San Siro anche nel senso dell'ippodromo, dove poteva incontrare facce che scrivevano da sole. Un purosangue poteva presentarlo così: "quando il nome di un cavallo esce dall'ippodromo e diventa popolare vuol dire che il cavallo è proprio un grosso tipo". Insomma, un fuoriclasse. In una televisione popolata da giornalisti sportivi che riescono a chiamare "scarpini" le scarpe da pallone è bene ricordare la sua lezione. Che non ha tempo. C.S.
dal sito di Panorama - link: http://blog.panorama.it/libri/2011/11/29/quelli-come-beppe-viola/
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