mercoledì 14 dicembre 2011

Quando il fuori-orario diventa un insulto. Alla maglia.




Sono d’accordo con Ranieri, quindi preferisco tralasciare ogni considerazione sul fatto che forse l’Inter – una volta di più – abbia finalmente “svoltato”. Ogni svolta, purtroppo, mi sembra ancora lontana dal venire, ed è quasi meglio ragionare sul fatto che i bei tempi andati, con una squadra messa così, non tornano più tanto presto. Facciamocene una ragione e guardiamo avanti, ma proprio per questo, per il bisogno di guardare avanti con costrutto, voglio riavvolgere il nastro delle imprese nerazzurre di qualche giorno fa, che può essere utile per tutti.
Infatti, dopo le partite con Udinese e CSKA non sapevo se essere infuriato, se mollare il colpo o vedere la cosa con ragionamento. La prima sensazione con l’andare delle ore mi è passata, la seconda non sia ma che un nerazzurro lo faccia, e allora mi rimane la terza. Quindi, vediamo di ragionare e mettere dei punti fermi, e uno di questi si riferisce a dopo la sconfitta con i friulani. Riportano le cronache che, a seguire quella prova inguardabile, due dei protagonisti più perversi di quella che non si dovrebbe nemmeno definire partita, Zarate e Alavarez, sono stati beccati in discoteca a ballare fino alle cinque del mattino. Sarà che a me dopo una partita persa nella vita, di qualsiasi partita si tratti, l’ultima cosa che mi viene da fare è andare a ballare, ma la cosa mi è sembrata surreale. Al massimo cado in momentanea depressione, voglio restare solo, e a farmi compagnia accetto solo un mio amico che si chiama Johnny Walker, che mi sorbisco in quantità assolutamente moderata e lui mi sopporta in paziente attesa di essere trangugiato; poi, via a letto, e (questo sì) domani è un altro giorno e si ricomincia. E, tanto per entrare ancor più nel merito: che cazzo ci sarà mai da festeggiare fin quasi al sopraggiungere dell’alba dopo una pena di un’ora e mezza più recupero di uno spettacolo simile? Del resto, i due ragasssi in questione non sono gli unici esempi del genere che abbiamo e abbiamo avuto in squadra. Non tendo mai a dare per scontate le voci che arrivano da più parti sui calciatori e la loro vita gaudente, ma siccome ormai alcuni spifferi sono cresciuti fino a diventare intense folate di bora, qualcuno mi sa spiegare come mai, da qualche tempo, quando si mormora di Maicon e Sneijder non lo si fa per narrare le loro gesta all’interno dei rettangoli di gioco, ma piuttosto quelle che riguardano l’elevato tasso alcoolico (quindi, non più tanto quello tecnico) che son bravi ad assorbire? Molte “vedette” non solo nerazzurre, infatti, pare ne abbiano potuto prendere atto con i loro occhi, in diversi trani di lusso del centro città e della periferia. Forse che questo spiega la “tenuta” fisica circoscritta ormai alla prima mezz’ora di gioco per entrambi, prima di sparire nel nulla del vacuo nerazzurro generale? Problemi fisici solo muscolari, i loro? Mah… Ho detto mezz’ora ma forse ho esagerato, visto che ormai le loro ultime apparizioni quasi non me le ricordo. Soprattutto quelle del Wes, al quale del resto ho già faticosamente perdonato (e l’ho fatto solo per amor di bandiera e patria calcistica) l’orrendo film del suo matrimonio nel senese solo pochi mesi fa e che le cronache impietose non ci hanno risparmiato, un vero e proprio trionfo di kitsch pacchiano con tanto di traino di cavalli bianchi e sposini assisi in carrozza, della serie: non facciamoci mancare niente, noi che adesso possiamo e mai avremmo potuto immaginare solo qualche anno fa.
Ho anche pensato che dev’essere l’aria di Appiano, forse troppo “pulita” in generale, e allora a qualcuno dei nostri campioni forse vien voglia di sporcarsela un po’ qua e là, come del resto appunto dimostra la storia nerazzurra passata e recente, zeppa di altre vittime illustri. Mi vengono in mente al volo - ed evito di scavare nella memoria alla ricerca di altri, sennò il mal di stomaco aumenta - Ronaldo, Vieri e Adriano, e i balli sfrenati e l’alcool a fiumi non erano nemmeno le uniche distrazioni, ché al peggio scontato non c’è mai fine soprattutto se a darne mostra son bambocci viziati ai quali non pare vero di poter combinare qualcosa che si avvicina all’armamentario squallido dell’arricchito medio e senza cervello.
Ma io mi domando: è tanto difficile passare qualche anno nella veste dell’atleta e basta, per poi scatenarsi e fare quello che si vuole appena appese le scarpe bullonate al chiodo? Vale la pena perdere milioni di euro (che le stupidaggini reiterate alla fin fine pesano sul rinnovo d’ingaggio) e vagonate d’ammirazione incondizionata da parte di schiere di tifosi adoranti per rovinarsi la vita, la reputazione e la forma fisica invece di aspettare a farlo quando poi non si deve rendere conto a nessuno, soprattutto ai compagni di squadra seri? Già, i compagni di squadra seri, tutta un’altra categoria. Mi viene in mente una serata di qualche anno fa, alla Comuna Baires di Milano. Ospite d’onore era Javier Zanetti, chiamato a rispondere alle domande del (folto, foltissimo) pubblico. Finito il bellissimo “balletto” (un tango immaginario e struggente, giusto ritmo per l’onore da rendere all’illustre ospite) di botte e risposte, si va tutti a cena insieme. Ricordo che il nostro capitano ha pasteggiato a pizza, insalata verde e acqua minerale naturale, poi alle dieci e un quarto ha guardato l’orologio, si è alzato e ha salutato perché il giorno dopo aveva l’allenamento: si è scusato, ma - testuale – doveva andarsene perché non poteva fare “più tardi di così”. I capelli erano sistemati come sempre li abbiamo visti sistemati sulla crapa solida di Zanetti, in nessun lembo scoperto del di lui corpo si intravedevano tracce bluastre di orrendi tatuaggi, il sorriso e la cortesia verso tutti gli astanti erano ben stampati su viso e sguardo luminosi. Quando è uscito il nostro Javier ha lasciato dietro di sé la sensazione che fosse passato qualcuno di etereo e nello stesso tempo di molto fisico, la stessa immagine che resterà nella memoria di tutti noi anche quando avrà smesso di giocare sfilandosi la fascia da capitano, un simbolo vivo e concreto che nessuno vorrebbe mai abbandonasse. Nella memoria di noi interisti tutti intendo, gli stessi ai quali un giorno qualcuno potrebbe chiedere chi mai erano Zarate e Alavarez, e magari non sapremo nemmeno bene cosa rispondere. O forse sì, e potrebbe suonare più o meno così: due giocatori discutibili mai del tutto realizzati, però nottambuli abituali che si sono persi nella nebbia in un periodo particolarmente buio per l’Inter. Poi, diranno le cronache del futuro, per fortuna è arrivata – davvero! - la “svolta”, e tutto ha ricominciato a girare per il verso giusto... T.M.


pubblicato il 14/12/2011 nel sito di Panorama - link:
http://blog.panorama.it/libri/2011/12/14/quando-il-fuori-orario-diventa-un-insulto-alla-maglia/

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